Gli spazi comuni di un condominio devono essere accessibili a tutti, quindi anche le persone con disabilità fisiche devono potersi muovere liberamente, senza quegli ostacoli che ne limitano le attività. Oltre alla legge 13/1989, anche il Codice civile affronta la questione, incoraggiando gli interventi che eliminano ogni forma di impedimento. Se per gli edifici di nuova costruzione esistono prescrizioni tecniche che permettono di realizzare da subito accessi e spazi comuni comodi per tutti, per quelli esistenti è più complicato. E non solo perché si deve intervenire, spesso con modifiche invasive, per andare ad eliminare le barriere architettoniche. Nonostante i buoni propositi, infatti, non sempre in condominio è possibile realizzare le opere necessarie ad agevolare i disabili, perché entrano in gioco altre esigenze come, per esempio, quella di salvaguardare il decoro architettonico dell’immobile o di tutelare il diritto di proprietà del bene comune – anche di un solo condomino – diritto che potrebbe venire meno a seguito dell’intervento. In questi casi, l’opera di abbattimento delle barriere architettoniche è quindi da ritenersi illegittima. Come, del resto, sono da considerarsi nulle le delibere condominiali volte a eliminare le barriere architettoniche che “siano lesive dei diritti di un altro condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative”.
Le norme per l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati sono contenute nella legge n. 13/1989, modificata dalla legge n. 62/1989 e, negli articoli compresi tra il 77 e l’82, dal dpr n. 380/2001, conosciuto come “Testo Unico sull’edilizia”. La legge principale, fra le altre cose, prevede una serie di norme relative a finanziamenti agevolati, oltre a disposizioni di regime ordinario per le nuove costruzioni e di regime transitorio, di carattere urbanistico e condominiale, per gli edifici esistenti. Come affermato dal legislatore, non è indispensabile che negli edifici oggetto dell’intervento sia presente un disabile (proprietario o inquilino), in quanto l’accessibilità deve essere garantita anche ai soggetti terzi.
- La solidarietà sociale non esclude la tutela della proprietà
- Se l’assemblea non delibera o non approva, il disabile può procedere a proprie spese
- Ci sono diverse agevolazioni statali per rendere più comodi gli accessi
La tutela dei diritti del disabile
A meno che l’opera necessaria per l’abbattimento delle barriere architettoniche incida drasticamente sull’estetica dello stabile condominiale, l’attuale orientamento giurisprudenziale tende a favorire i diritti dei portatori di handicap, permettendo l’installazione di un montascale o di una rampa per il transito delle sedie a rotelle. Anche nei casi in cui di tratti di un palazzo di valore storico e architettonico.
A norma dell’articolo 1120 del Codice civile, gli interventi per eliminare le barriere architettoniche, così come “la realizzazione di percorsi attrezzati e l’installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi” devono essere deliberati, in prima o seconda convocazione, con la maggioranza indicata dal secondo comma dell’articolo 1136 del Codice civile.
• Vale a dire un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti in assemblea e almeno la metà del valore dell’edificio, espresso in millesimi. Si tratta di un quorum agevolato rispetto a quello richiesto per deliberare le “classiche” innovazioni, che richiedono infatti una maggioranza più severa (2/3 del valore dell’edificio).
• L’articolo 1120, inoltre, impone all’amministratore di convocare l’assemblea entro 30 giorni dalla richiesta avanzata anche da un solo condomino interessato all’intervento. La domanda deve contenere l’indicazione dettagliata dell’opera e le modalità di esecuzione. Qualora il documento risulti incompleto, è compito dell’amministratore invitare “senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni”.
A proprie spese se non c’è l’ok
L’articolo 2 della legge 13/1989 prevede che “nel caso in cui il condominio rifiuti deliberare (…), o non deliberi entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, i portatori di handicap, o chi ne esercita la tutela o la potestà, possono installare a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garage”. Questo si può fare anche quando l’assemblea non raggiunge il quorum.
• Nel caso in cui, invece, l’intervento sia stato deliberato dall’assemblea, per quanto concerne la ripartizione delle spese dell’intervento, il costo viene suddiviso tra tutti i condòmini, in proporzione ai millesimi di proprietà.